IL MIO SECONDO ROMANZO

Il mio secondo romanzo s'intitola La gabbia criminale, disponibile in libreria da metà ottobre 2010. Editore: Eclissi Editrice. Per saperne di più clicca qui: La gabbia criminale.

IL BOOK-TRAILER DE LA FOSSA COMUNE

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sabato 13 settembre 2008

Racconto: LA BIONDA DI SANPIETROBURGO


L’uomo è arrivato a San Pietroburgo da un paio d’ore. Alloggia al Grand Hotel Europa, il migliore albergo della città. Sono le dieci di sera, ma è come se fosse giorno, le famose notti bianche di giugno. L’uomo si dirige a fare due passi sul Nevskij Prospekt, a godersi la frescura che il mare a quell’ora sospinge nelle strade della vecchia capitale. Ed è allora che la vede.
Bionda, alta, due grandi, tristi occhi castani, un sorriso assorto, si sta dirigendo verso di lui. L'uomo ricambia il sorriso, lei si guarda intorno con fare preoccupato, poi, titubante, gli chiede se vuole fare l'amore. Lui risponde subito di sì.
- Cento dollari?
La ragazza annuisce con la testa, e senza perdere tempo si affretta sulla strada per fermare un'auto.
- Andiamo a casa mia - dice.
Lui non fa obiezioni. Ci mettono quindici minuti ad arrivare, ed è un tragitto penoso, con lei che se ne sta ostinatamente zitta, e con lui che cerca in tutti i modi di chiacchierare un po'. Quella ragazza è davvero strana, diversissima da quelle che ha conosciuto a Mosca, ogni tanto sospira, o le tremano le labbra, l'uomo pensa che forse per lei è la prima volta, che non voglia farlo, che vi sia costretta dalla necessità di pagare l'affitto, tant'è che le dice: - Se non vuoi, non lo facciamo, ti lascio qualcosa lo stesso, e me ne torno indietro. Non c'è problema, davvero!
Ma lei fa di no con la testa, un no nervoso, poi si gira dall'altra parte, cercando di evitare il suo sguardo, che la fruga, indispettito, con sospetto. Finalmente arrivano, un palazzone grigio di periferia, uguale a tutti i palazzoni di periferia della Russia, che sono cadenti ancor prima di essere finiti. Salgono al quarto piano, in casa, c'è uno stretto corridoio con una porta in fondo, e la cucina sulla destra, con una lampadina che penzola triste dal soffitto. Lui ha una gran voglia di scappare via. Non gli è mai capitato prima, ma che cos'ha quella? Se non vuole basta dirlo, cristo! Un sorriso, almeno. No, fare l'amore con quella lì, ne è sempre più convinto, sarà di uno squallore immane, sicuramente si stenderà sul letto, aprirà nervosamente le gambe, e starà in tensione finché lui non avrà finito. Ma vaffanculo, ma per chi lo ha preso?
- Vuoi mangiare qualcosa? - gli chiede lei.
Ma figurarsi!, pensa l'uomo, seduto di sbieco sul bordo di una sedia sbilenca, in quella cucina unta, coi piatti sporchi nel lavello. Le sputa un no secco. Lei comunque, come se niente fosse, prende fuori dal frigo una scatola di pelati da mezzo chilo, l'apre con un coltello, e comincia a mangiarli, così come sono, freddi, tristi, disgustosi. Lui la guarda, ammutolito, a disagio per lei per quella totale mancanza di cura, anzi, per il disprezzo di sé che scaturisce da quel modo desolato di ingurgitare cibo.
Poi lei gli chiede i soldi.
- Non puoi darmi qualcosa di più?
E no, cazzo, quella è la tariffa standard, e per un trattamento cento volte migliore del suo.
- Vedremo dopo.
Lei non fa una piega, prende i soldi e gli dice:
- Aspettami qui un momento.

Dove va, a lavarsi? A mettere via i soldi per paura che lui glieli riprenda? L'uomo non è tranquillo, non è questo il modo di comportarsi, di solito le altre lo portano subito in camera, poi vanno a fare la doccia, e arrivano sotto le coperte belle calde e sorridenti. Eppure rimane lì, in quel buco di cucina, con il pavimento di linoleum, la scatola di pelati aperta mezza vuota, il coltello e la forchetta buttati in disordine sul tavolo di fòrmica. Ma quella quanto ci mette? Che cosa sta facendo? Forse è meglio andarsene. Ma no, le ha dato cento dollari, cavolo. E forse potrebbe essere, chissà, molto meglio di quanto lui non pensi. Magari adesso quella arriva lì, a spataffiargli la fica sotto il naso. Mah! Meglio mettere al sicuro gli altri soldi, intanto. Toglie quattrocento dollari dal portafoglio, lasciandoci solo pochi spiccioli, e se li mette nella tasca con la cerniera del giubbino. E continua ad aspettare. Aspettare. Adesso basta, però! La tensione cresce, gli sale dallo stomaco, gli fa chiudere la mani a pugno, ritmicamente. Gli viene un colpo, una scarica di adrenalina, quando va via la luce di quell'unica lampadina a penzoloni. Si riaccende subito, per fortuna, e lui respira forte. Si toglie gli occhiali e si strofina il viso, a lungo. Adesso me ne vado, si dice, sì, adesso mi alzo e me ne vado. Ma rimane lì, perché lei deve per forza ritornare, rimane lì, a guardare fisso la porta aperta della cucina, che dà sul buio del corridoio. A un tratto lo spazio di quella porta si riempie, e gli si rizzano i capelli in testa.

È un uomo giovane, alto e biondo, vestito di tutto punto, con un completo grigio chiaro e una cravatta azzurra. Ubriaco fradicio. Guarda l'altro per un po', in silenzio, con gli occhi semichiusi. Questo capisce subito.
- Occhei, occhei, adesso me ne vado ... vado via - balbetta, alzandosi, impacciato e impaurito.
Ma il giovane si avvicina, e gli scarica un pugno tremendo sullo zigomo sinistro, ricacciandolo sulla sedia. Lui si sente morire dal dolore, urla, e cerca di rialzarsi, adesso l'unica cosa che deve fare è riuscire a raggiungere la porta dell'ingresso. L'altro si fa ancora avanti, e afferra con forza il coltello che sta sul tavolo, e glielo agita contro, alitandogli in faccia "Dammi i soldi! I soldi! Sporco bastardo americano!" L'uomo è terrorizzato, tira fuori il portafoglio, glielo mostra, e dice "Guarda, ho solo dieci dollari, li vuoi? Occhei, occhei, prendi!" Il biondo glieli strappa via, e si mette a guardarli da vicino, a lungo, barcollando, sempre con il coltello in mano.
È un attimo. L'uomo, con un urlo, balza addosso al giovane, che crolla a terra come un fuscello, senza un lamento, trascinandosi dietro una sedia e la scatola dei pelati. L'uomo quasi non ci crede: ce l'ho fatta! Posso andarmene! Ma rimane lì, a guardarlo, come un coglione, con uno strano ghigno. "Bastardo" sibila. Bastardo! E invece di scappare, comincia a tempestarlo di calci, colpi secchi, soffocati, "Bastardo!", e picchia dappertutto, senza guardare, "Figlio di puttana!", urla, e colpisce, in faccia, nella schiena, nella pancia. Poi afferra la sedia e gliela spacca in testa, e non riesce più distinguere il sangue dalla salsa dei pelati. Respira affannosamente. E vede il coltello per terra. Lo raccoglie. Dov'è la ragazza, adesso? Lui rivuole i suoi cento dollari, cazzo di un dio! Quella troia dev'essere nella stanza in fondo al corridoio, e in effetti è proprio così, lui piomba dentro come una furia, ma si blocca di colpo, e non perché lei è rannicchiata in fondo al letto, terrorizzata, incapace di dire una parola, è per la puzza bestiale che lo investe, tre bottiglie di vodka vuote sul comodino e una chiazza di vomito fresco sul tappeto lurido. La ragazza lo guarda, cercando di farsi piccola piccola, lontana, impaurita, un grosso livido sotto l'occhio destro. Allora lui butta con rabbia il coltello sul letto, e corre alla porta d'ingresso, via da quella casa, via, e discende le scale a quattro gradini per volta, adesso ha paura che altri inquilini lo fermino, forse quel ragazzo è morto, e magari arriva la polizia, via, via, di corsa! Corre a rotta di collo anche fuori, ogni tanto si volta indietro, incrocia un'auto della militzija, rallenta, col cuore in gola, poi finalmente vede un taxi, un taxi vero, di quelli coi quadratini neri sul fianco.

La sera successiva l'uomo è seduto nella hall del Grand Hotel Europa. Sta cercando di leggere un libro, sorseggiando un aperitivo. Quel giorno ha cancellato tutti gli appuntamenti di lavoro e non è mai uscito dall’albergo, perché il tremito alle mani non gli era ancora passato. A un tratto, solleva lo sguardo per chiamare il cameriere, e ha un sussulto al cuore. La ragazza! E’ lì, a meno di tre metri da lui. Con il livido ancora in evidenza sotto l'occhio destro. Lui si agita, vorrebbe scomparire, ma lei lo ha già visto, e gli si sta avvicinando.
- Ha dimenticato questi - gli dice seccamente, porgendogli un paio di occhiali.
Lui è confuso, arrabbiato, impaurito, non sa dove guardare.
- Grazie - farfuglia.
Lei si gira per andarsene, ma l'uomo si alza e la ferma con la mano.
- E lui ... come sta ...
La ragazza si irrigidisce.
- E' morto - dice in fretta.
Gli si blocca il respiro. Una vampata di sangue alla testa.
- Come ...
- L'ho finito io, a coltellate - continua lei, inespressiva.
Tace per un attimo. Poi, fissandolo negli occhi, prosegue gelida:
- … e comunque nel palazzo, a quell'ora, molti hanno sentito un gran rumore per le scale, e qualcuno ha anche visto un uomo allontanarsi di corsa sul vialone. Dopo un po' ho gridato, in modo che tutti venissero a vedere quello che era successo.
Lo guarda, con aria di sfida. Lui non riesce ad aprire bocca, un crampo gli attorciglia lo stomaco. Lei solleva il viso, e gli sfiora la guancia con le labbra.
- Grazie - gli dice - ora è meglio che vada.

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