Questo è un blog dedicato al mio "La fossa comune", edito nel 2008 da 0111 Edizioni e ora fuori catalogo. Chi fosse interessato ad averne una copia mi contatti (sandro.bastasi@gmail.com o su facebook alessandrobastasi@facebook.com).
IL MIO SECONDO ROMANZO
IL BOOK-TRAILER DE LA FOSSA COMUNE
lunedì 9 novembre 2009
SENZA NOME - racconto inedito
sabato 31 ottobre 2009
domenica 11 ottobre 2009
martedì 29 settembre 2009
lunedì 28 settembre 2009
giovedì 24 settembre 2009
Intervista al sottoscritto in "Sul Romanzo"

Una mia intervista sull'interessante blog "Sul Romanzo".
Vai a: http://sulromanzo.blogspot.com/2009/09/intervista-ad-alessandro-bastasi.html
Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.
Ho iniziato a scrivere racconti parecchi anni fa, poi i casi della vita mi hanno deviato su altri percorsi. Ho ripreso qualche anno fa, riflettendo sulla mia esperienza di testimone diretto di un fatto storico tragico e grandioso: la dissoluzione dell’URSS, la fine del PCUS e il trapasso drammatico alla Russia di Eltsin nei primi anni Novanta. Poiché dalla fine del ’90 alla fine del ’93 per lunghi periodi ho vissuto in Russia, ho infatti assistito in prima persona alla trasformazione politica, sociale, culturale di quel paese, l’ho vissuta assieme ai russi con cui lavoravo e con cui ero in contatto. Questa esperienza è stata la molla che mi ha spinto a riprendere in mano la scrittura e a stendere il mio primo romanzo, "La fossa comune", in cui quegli avvenimenti sono non solo lo scenario della vicenda narrata, ma fatti con cui il protagonista si confronta e si scontra. Il fatto che il romanzo sia stato apprezzato da chi l’ha letto mi ha poi convinto a riprovarci con un altro, di tutt’altra ambientazione, ma sempre con lo spirito della testimonianza civile, della riflessione romanzata sulla storia nella quale viviamo, per esplorarne i meandri, gli interstizi, le conseguenze sulle nostre esistenze.
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?
L’istinto creativo deve essere necessariamente presente, altrimenti non si farebbe letteratura ma, nel mio caso, saggistica o storia. Però, per quello che è il mio modo di intendere la scrittura non è sufficiente. Io produco scrittura se un fatto, una vicenda mi fa riflettere, e mi spinge a condividere con altri queste riflessioni. Quindi l’elemento razionalità deve coesistere con la creatività. Dal loro connubio può nascere una letteratura utile e non solo del rumore, per quanto piacevole possa essere.
Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.
Le necessità della vita materiale purtroppo mi impediscono di avere dei metodi rigidi da rispettare, scrivo quindi quando posso, quando mi viene un’idea, quando i personaggi di una storia mi sollecitano a raccontarla. Il mio secondo romanzo, da poco terminato e ancora inedito, è nato così: una lunga gestazione nella mia mente, poi sono stati i personaggi stessi a farsi strada, a sgomitare, a raccontarmi la loro storia, e in due mesi la prima stesura era bell’e che pronta.
Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
Non posso fare a meno, oltre al computer, di post-it e di un piccolo taccuino, nei quali, in fase di preparazione e di scrittura, possa annotare quello che mi viene in mente, uno spunto che, letteralmente, un personaggio mi detta, uno snodo particolarmente felice della storia raccontata… cose del genere, insomma. A volte, soprattutto nella stesura del secondo romanzo, ero per strada e fermavo l’automobile su una piazzola per annotare qualcosa, per non farmela sfuggire.
Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?
Amo i classici, i grandi scrittori del passato, sono stati loro a farmi amare la letteratura, a farmi capire lo potenza della parola scritta. In primis Dostoevskij. Poi però sono i contemporanei quelli che vivono e descrivono la nostra epoca, quindi da questo punto di vista li sento più vicini. Non tutti, ovviamente, mi riferisco a quelli che hanno una sensibilità e una concezione della scrittura a me congeniale, da Saramago a Tabucchi, tanto per fare un paio di esempi. Ma pure alcuni recenti scrittori di noir mi stimolano, se per noir intendiamo anche una disanima dello scenario sociale e delle motivazioni che portano alle vicende delittuose raccontate.
L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?
A me sembra che, grazie all’avvento delle nuove tecnologie, il tema cui lei accenna non sia più legato a una localizzazione geografica. Persiste invece, come si diceva un tempo, il problema di “chi detiene i mezzi di produzione”, che in questo caso significa controllo del mercato, distribuzione, diffusione della conoscenza. E, almeno in Italia, l’utilizzo di internet è ancora troppo poco diffuso perché possa essere qui e ora un’alternativa ai canali tradizionali, controllati, appunto, dalle major. Ma la strada è quella, il percorso sarà ancora lungo ma è promettente. A meno che qualcuno non riesca a impossessarsi anche di questo. E purtroppo mi sembra che tentativi in questa direzione siano in corso. Dobbiamo stare allertati.
Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
Me lo ha decisamente migliorato. Non solo perché più vado avanti e più amo scrivere, ma anche perché mi ha consentito di fare chiarezza, prima di tutto nella mia mente, nella mia interiorità, su certi temi, e poi di mettere a disposizione dei lettori le mie riflessioni e i miei dubbi. L’obiettivo della mia scrittura è proporre a chi legge delle rappresentazioni della realtà, del magma in evoluzione che ci circonda e in cui siamo immersi, che siano diverse da quelle “ufficiali”, e stimolare quindi delle visuali, delle angolature, delle percezioni che mettano in crisi, che facciano dubitare. Poi il fatto che questi diversi modi di vedere vengano condivisi o meno non è essenziale, è sufficiente per me che almeno qualche dubbio venga instillato. Se questo accade, il mio obiettivo è raggiunto.
La ringrazio e buona scrittura.
Il suo blog è: http://lafossacomune.blogspot.com.
venerdì 11 settembre 2009
Poesia di Andrej Ljublev

Andrej è un importante personaggio del romanzo "La fossa comune", l'alter ego di Vittorio Ronca, in un certo senso. Artista e omosessuale, se vivesse oggi a Mosca Andrej avrebbe sui sessant'anni, e io mi immagino che scriverebbe una poesia come questa:
Ho visto gatti che soffiano impazziti
alle corse affannose dei ritardatari
in una oscura via di Mosca vecchia
alla luce opaca dei lampioni.
Ho visto cani digrignare i denti
alla carcassa di un manzo senza testa
e al macellaio che ride sulla porta
col sangue che gli cola sul grembiule.
Ho visto al parco Gorkj tra i brusii
degli amanti e i colori e i palloncini
gole feroci latrare nei megafoni
a spegnere un sorriso solitario
nel volto dolce di un ragazzo strano.
Voglio riversarmi nelle grigie strade
della Mosca oscena che non è più mia
assieme ai gatti e ai cani e a quel ragazzo strano
ché nel mio buio letto più non veda
un inerte fantoccio dai fianchi molli e pingui.
giovedì 27 agosto 2009
Russia, 1993: l'anno terribile
martedì 28 luglio 2009
Amore 2.0 - amori liquidi e ipertecnologici
lunedì 20 luglio 2009
Terminato il nuovo romanzo! Titolo provvisorio: "La gabbia criminale" - SINOSSI DEL LIBRO
La gabbia criminale è un noir molto sui generis. C’è un delitto, anzi un duplice delitto, c’è un colpevole già processato e condannato nel 1954. Ma quando Alberto Sartini, un uomo di sessantaquattro anni in pensione torna nella casa di Treviso in cui ha vissuto i suoi primi nove anni di vita, i personaggi di quella lontana vicenda cominciano a penetrare nella sua mente, chiedendo a lui di risolvere definitivamente il giallo di tanti anni prima. I piani temporali quindi si sovrappongono e si confondono, così come lo scenario sociale del nordest prevalentemente povero e agricolo di quegli anni con quello attuale del famoso miracolo. Alberto ritrova le sue radici, un vecchio amico, la madre e la sorella, e soprattutto incontra Valentina, la figlia di quel Carlo Bettini finito in carcere innocente 55 anni fa, e sua madre, l’esuberante Eva, moglie di Carlo. Assieme a loro, faticosamente, ripercorre quell’epoca dominata dall’ipocrisia, da regolamenti di conti personali, dal bisogno indotto di ostentazione e di finto decoro. E mentre il fratellastro di Valentina cade vittima del nuovo odio imperante, quello verso i diversi, siano essi clochard o migranti, le ombre dei morti conducono Alberto verso la inaspettata soluzione dell’antico giallo.
Molti sono i personaggi che agiscono in questo romanzo, personaggi di ieri e di oggi, da Borghetto il fascista all’infame Dotto, da Caterina la matta alla misteriosa Maria
giovedì 11 giugno 2009
mercoledì 20 maggio 2009
L'ILLUMINAZIONE DI NORTON - Racconto di Alessandro MAGHERINI
Lo chiamavano Norton per via della sua motocicletta d’antiquariato. C’era, però, anche chi lo chiamava Biscia a causa della magrezza e chi McDope per il suo impressionante consumo di sostanze psicodislettiche.
Suo cugino Felipe viveva a Lima nel quartiere di San Isidro, in una villetta della Belle époque dalle cui finestre si vedeva il Pacifico, una cinquantina di metri più sotto, cercare di mangiarsi la spiaggia per arrivare a cozzare contro la scogliera.
Felipe si riforniva di cocaina in un laboratorio – una cocina, diceva lui – di Lima Vieja, e poi la spediva a Norton nascosta dentro scatole di sardine, una confezione speciale prodotta da un’industria conserviera del Callao.
Era merce di ottima qualità che Norton tagliava con una parte di lattosio, e rivendeva a Milano con buoni profitti in certi ambienti modaioli di sua conoscenza. Così manteneva se stesso, il cugino peruviano e un grosso gatto soriano che aveva chiamato Hieronymus, un nome che doveva sembrare pomposo al felino stesso ma che per lui era molto significativo data la sua passione per l’autore delle Tentazioni di S. Antonio.
Commerciava anche una ganja che riceveva periodicamente da una socia nigeriana e andava fiero di essere rimasto uno dei pochissimi pusher indipendenti in circolazione, in un mercato dominato dai grandi racket.
Sebbene amasse l’eccesso, sapeva praticarlo con discrezione. Manteneva buone relazioni con i vicini di casa, che lo conoscevano come artista e musicista (era un virtuoso della chitarra e del sitar), nonché come studioso di storia, redattore di voci per enciclopedie.
Le sue ricerche vertevano principalmente sulla storia dell’alimentazione, una chiave fondamentale, a suo parere, per la comprensione delle vicende umane. In particolare considerava sciagurata per l’Europa l’introduzione del mais e della patata – avvenuta in seguito alla scoperta dell’America –, che aveva provocato il declino della coltivazione della segale. Si era spenta, così, una cultura magica caratterizzata dall’uso di facoltà visionarie, di cui era testimonianza l’opera di certi pittori fiamminghi – Bosch prima di tutti – dediti al consumo di bevande prodotte con segale cornuta carica di acido lisergico.
Per Norton ciò che per i più è vizio era una religione: conosceva dottrine segrete di adepti indiani della “Via del veleno”, per i quali l’uso di droghe è una sfida continua a sviluppare la consapevolezza, allargando a dismisura – nell’esplorazione degli stati alterati – l’area della coscienza.
Talvolta si ritirava con pochi compagni in una casetta che aveva ereditato da una zia sulle Prealpi bergamasche, dove era riuscito a ricreare in una serra le condizioni microclimatiche necessarie alla crescita di certi funghi allucinogeni colombiani che spuntano sugli escrementi di vacca.
Non era incline alla conversazione leggera. Piuttosto amava il silenzio e la contemplazione. Della cocaina non apprezzava la facile ebbrezza, il senso illusorio di potenza, e non era certo preda di quegli effetti che portano spesso il consumatore a perdersi in farneticazioni paranoiche autoreferenziali. No: lui era sempre in volo ma la sua mente era sgombra e presente. La cocaina era la sostanza della sintesi portata all’estremo, serviva a trovare la nota giusta, la frase assoluta nell’esecuzione di un raga o in un’improvvisazione jazz: a cogliere l’attimo, la sincronia, l’essenza.
Nel suo abbaino fra i monti aveva nascosto il tridente shivaita che simboleggiava il suo percorso spirituale: creazione, distruzione, conservazione – i princìpi della sacra Trimurti – erano le leggi che si applicavano alla sua vita. Una pianta di ganja, con le sue foglie lanceolate, ne era il veicolo rituale: coltivata, consumata, conservata nel seme capace di dare vita ad un nuovo organismo in un ciclo sacrificale continuo.
Lo psilocibe gli permetteva di cogliere l’anima delle piante durante lunghe camminate nei boschi. L’Lsd, che un antico reduce delle battaglie di Oakland produceva ancora nel suo laboratorio a Big Sur, era la porta della Visione.
Fu con un vago senso di premonizione che la sera del 3 marzo 2003 tirò fuori dalla libreria la sua copia consunta del Paradiso dantesco.
Lo aprì come spinto da una forza che lo trascendeva e di cui si fidava istintivamente, andò subito al trentesimo canto e a voce alta lesse:
e vidi lume in forma di rivera
fulvido di fulgore, intra due rive
dipinte di mirabil primavera.
Allora accadde qualcosa che attendeva da migliaia di vite e tuttavia non aveva previsto: quel fiume scintillante si gettò su di lui dalle pagine del libro e lo sommerse trascinandolo in un percorso elicoidale ascendente che andò a perdersi fra le stelle dell’universo.
Felice, Norton – ma aveva ancora un nome? Era ancora “qualcuno”? – si era abbandonato a quella corrente luminosa. Attraversando galassie, vide esseri che si affaticavano in mondi sconosciuti, animali dalla forma ignota, e in tutto quel fulgore osservò il proprio volto che splendeva più d’ogni altra immagine. Restituito a se stesso ebbe la visione dell’Eterna Contemporaneità, e in essa si riconobbe.
Quando il dottor Mazzoleni stilò il referto della sua morte disse che l’ictus gli aveva fatto saltare il cervello.
La cosa inusuale era quell’espressione del tutto priva di smorfie: quella faccia beata.
giovedì 14 maggio 2009
Intervista di Alessandra Di Gregorio
Oggi parliamo con Alessandro Bastasi, autore di La fossa comune.
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intervista a cura di Alessandra Di Gregorio.
A: Scrivere. Perché?
Perché sono curioso, per ricercare, scavare nella psiche, nelle relazioni tra gli essere umani, nei risvolti sociali (e anche politici) di queste relazioni. Perché questo è anche un modo per costringermi a riflettere a fondo sulla condizione umana, e a condividere con altri le mie domande, le mie riflessioni. Non è un “mestiere”, è in qualche modo una necessità.
A: Scrivere. Cosa?
Storie, romanzi, racconti. Scrivere una storia mi consente di attraversare un tema che mi sta a cuore in profondità, in tutte le sue sfaccettature.
A: Tu come scrittore. Chi sei e come ti poni?
Sono un professionista, con un buon lavoro, ma che ha fatto l’attore (e saltuariamente lo fa ancora, soprattutto con dei film-maker indipendenti amici “d’arte”), ha fatto il cronista teatrale, e, appunto, ha scritto racconti vari e un romanzo, e intende continuare a scrivere. L’approccio al mondo della scrittura mi è venuto quasi naturale, essendo così forte in me la passione per l’espressione artistica.
A: La penna per te corrisponde a…?
A esprimere idee, instillare dubbi, scoprire relazioni, condividere sentimenti
A: Come ti collocavi nei confronti della scrittura prima di pubblicare un libro, e come ti senti adesso, stando ufficialmente su questo palcoscenico che si reinventa di continuo?
Prima di pubblicare “La fossa comune” scrivevo racconti, mi nasceva un’idea in testa e ci sviluppavo una ministoria, che poi pubblicavo in qualche sito letterario, ma così, senza particolari ambizioni. Poi, dalla mia esperienza in Russia, dove avevo raccolto in vari appunti quello che era successo dal 1990 al 1993, “La fossa comune” si è formato quasi da solo nella mia testa, evidentemente urgeva dentro di me la necessità di una riflessione sulla caduta del muro e sulla dissoluzione dell’URSS, con tutto quello che ne seguiva in termini di crollo di un’ideologia. Ed è nato il libro. Poteva anche essere un’esperienza fine a se stessa, ma i commenti di amici che avevano letto il manoscritto e l’accoglienza del libro pubblicato mi hanno quasi imposto di continuare, anche per non tradire le aspettative e la fiducia che il romanzo ha generato. Infatti sto scrivendo il mio secondo romanzo.
A: Se dovessi usare tre aggettivi per definire il tuo stile ponendoti però a distanza da esso, ovvero come il lettore della situazione e non come l’autore del libro in questione, quali useresti e perché?
Realistico, perché gli scenari, dialoghi, le sensazioni si riferiscono a situazioni reali, storiche.
Epico, perché tende a includere “Grandi Narrazioni” (es. il passaggio dall’URSS alla Russia di Eltsin.
Introspettivo, perché tende a descrivere in ogni caso il processo psicologico nelle relazioni con la “Grande Narrazione”.
A: Il tuo libro: riassumilo brevemente e spiega perché qualcuno dovrebbe scegliere di acquistarlo, leggerlo e poi riporlo con cura nella propria biblioteca personale.
“La fossa comune” si può leggere come una sorta di thriller politico, dove un uomo proveniente da devastanti esperienze professionali e affettive approda nella Russia dei primi anni ’90 e si fa coinvolgere in un attentato al presidente Eltzin. Si può leggere come analisi spietata di un contesto sociale e politico, oppure come romanzo psicologico che affronta il dramma di un uomo che non è in grado di affrontare (o meglio, di accettare) una realtà diversa da quella che lui sognava da giovane, ed è quindi alla ricerca di un contesto che gli consenta di essere finalmente se stesso.
Il libro quindi ha diversi livelli di lettura, diverse angolature dalle quali osservare un evento epocale della nostra storia recente, la caduta dell’URSS e di quello che, simbolicamente, questa ha rappresentato nelle coscienze di una certa generazione.
E’ stato detto che il libro, oltre a una buona scrittura, offre spunti di riflessione molto interessanti e coinvolgenti: motivo di più per acquistarlo e poi riporlo con cura nella propria biblioteca personale.
A: Modelli, forme, criteri e scelte. Si parla molto di tecniche di scrittura creativa e di chi si dice pro o contro. Cosa ti guida, allora, da un punto di vista squisitamente tecnico, durante il flusso della scrittura?
1. Argomento da trattare
2. Idea della storia da costruirci attorno
3. Personaggi/immaginare il loro vissuto/caratteristiche psicologiche
4. Linguaggio, simboli, semantica
5. Struttura del romanzo (scaletta)
A: Le occasioni. Cosa ti emoziona, cosa ti stimola il ricorso alla penna? L’uso che ne fai, è per metabolizzare esperienze biografiche – e per esperienza biografica s’intendono anche quelle concernenti l’anima o fatti derivati dalla propria immaginazione/fantasia spinta – o si pone come “sforzo” d’immaginazione per riempire fogli che altrimenti sarebbe un peccato lasciare vuoti? Vale a dire: scrittura d’occasione o scrittura per mestiere?
La mia non è scrittura per mestiere. Come ho detto, deve esserci un’idea forte che mi stimola il ricorso alla penna. In questo senso si può intendere “metabolizzare esperienze biografiche”. Ad esempio, nel libro che sto scrivendo attualmente l’idea forte è il rapporto tra evoluzione personale e ambiente in cui si vive, soprattutto in tenera età. Lo scenario è un’Italia di provincia degli anni ’50, con le sue ambiguità e le sue speranze.
A: Post stesura finale. Metabolizzi in quali modi la fine della stesura di un’opera, ovvero: la lasci mai andar via, o ne resti schiacciato al punto che una critica, una osservazione su di essa, ti pungono fino a farti male? Qual è la tua sensibilità d’artista. Parlaci della tua esperienza diretta.
Un libro è finito, che vada per la sua strada. Ce n’è un altro da scrivere, è questo che bisogna coccolare, adesso.
giovedì 7 maggio 2009
Alessandro Bastasi alla Fiera del Libro di Torino, da "Carta e calamaio"
In bilico tra il thriller politico e il romanzo storico, La fossa comune(0111 Edizioni) racconta le vicissitudini di Vittorio Ronca, un uomo che, dopo devastanti esperienze professionali e affettive, approda nella Russia post-sovietica dei primi anni ‘90, dove viene coinvolto in un attentato al presidente Boris Eltzin. Pagina dopo pagina, però, quello che emerge dal romanzo è soprattutto il ritratto di una generazione, quella che aveva vent’anni nel 1968, destinata fin dall’inizio a scontrarsi con una realtà spesso irriducibile ai suoi schematismi. E sogni e ideali, stritolati in tale scontro, non possono che finire in una fossa comune.
Anche se si tratta di un romanzo, La fossa comune racchiude in sé tutto il valore documentario di un diario, poiché è il frutto delle reali esperienze dell’autore che si è trovato a vivere, per motivi di lavoro, nel periodo in cui la Russia ha subito il grande passaggio dall’URSS all’era di Eltsin.
« Nel corso della mia permanenza – spiega Alessandro Bastasi – ho assistito, giorno per giorno, al processo di dissoluzione del vecchio regime e alla nascita del nuovo e, giorno per giorno, annotavo quanto avveniva sul piano economico, sociale e politico. Non avevo ancora l’idea di scriverci sopra un romanzo, erano appunti sparsi per un utilizzo da definire. Poi nasce l’dea di mettere a confronto con questo processo il vissuto politico-culturale, ma soprattutto personale, di un ex sessantottino. Ho quindi costruito il personaggio e l’ho calato nella bolgia della Russia di quegli anni. »
“Il romanzo di Bastasi è dunque una storia che si muove, con disinvoltura e precisione, dentro la Storia (quella con la “S” maiuscola”) ma è anche la vicenda di un uomo, il protagonista, Vittorio Ronca, disegnato con profondità e intensità.” (Carlo Menzinger)
“Credo che il dato maggiormente rilevante del testo sia la passione. Si, la passione per qualcosa nella quale si crede svisceratamente, completamente, tanto da affidarle i propri sogni, le proprie speranze, la propria vita. Ho avuto l’impressione che la profondità di tale sentimento attribuito al protagonista non possa aver avuto origine direttamente sulla carta: ho sentito il cuore di Alessandro battere furiosamente all’unisono con quello del suo personaggio.” (Monica Caira)
“La fossa comune si può leggere come storia in sé. E’ gradevole, scorrevole, scritta con indubbia maestria. Davvero, potete leggerla così e poi magari scriverci sopra un bel riassunto. Oppure potete vederci la critica, schietta, leale e soprattutto “ di parte” , alla gangrena del neocapitalismo selvaggio, del profitto ad ogni costo, dei soldi facili, con cui comprare tutto e tutto corrompere, tutto sporcare. Dico “ di parte “, perché è un sollievo vedere che c’è ancora qualcuno capace di schierarsi, di dire da che parte sta, in quest’epoca di centrismo, di disimpegno, di ignavia spacciata per equilibrio e di equilibrismi spacciati per saggezza.” (Alessio Pracanica)
Bastasi parlerà del suo romanzo anche domenica 17 maggio, ore 15.00, nell’ambito di La prima volta di (Fuori Fiera alla 3 – Padiglione Esterno della Fiera Internazionale del Libro, Area Pedonale “Grattacielo Lancia” – via Caraglio angolo via Lancia).
Alessandro Bastasi è nato a Treviso il 21 ottobre 1949. Laureato in fisica all’università di Padova, attualmente vive a Milano e lavora come amministratore delegato di una società nel settore ICT.
Nella vita ha fatto l’attore e il cronista teatrale, ha scritto racconti vari e il romanzo, “La fossa comune”. L’approccio al mondo della scrittura gli è venuto naturale, essendo forte in lui la passione per l’espressione artistica. Quando una tematica gli sta a cuore la approfondisce e il modo migliore per chiarirsi le idee è proprio scrivere una storia che attraversi quel tema in profondità.
mercoledì 6 maggio 2009
Venerdì 8 maggio, alle 17:00, al Centro Libri Larizza di Solaro (MI)
lunedì 4 maggio 2009
Alessio Pracanica presenta il suo "Racconti dell'età del rap"

Di Alessio Pracanica mi sembra di sentire la voce, lui non scrive, racconta, come raccontavano i cantastorie della sua terra o come raccontavano i contadini veneti, la sera, al fresco dell’estate sull’aia o dentro il caldo dell’inverno nelle stalle.
E’ la musica, è la magia della narrazione che incantano il lettore, la grande capacità di questo autore di trascinarti senza soluzione di continuità in atmosfere le più variegate: da surreali a maledettamente concrete, dagli spazi immensi delle Intestates statunitensi al chiuso di una stanza d’albergo dove si consumano i drammi della più desolata solitudine, dalle ironie maliziose di chi, di fronte a boriosi saccenti dimostra di conoscere davvero la realtà della vita, alla crudeltà del vivere in quest’epoca fatta di conformismi feroci cui si tende a conformarsi pena l’esclusione sociale, fino alla consolazione di un piccolo evento cui aggrapparsi, fosse solo una sigaretta sgualcita trovata nel fondo delle tasche, un piccolo evento che uno se lo può portare a casa, coccolarselo, lavorarci sopra e rimodellarlo per dare una speranza a una vita senza senso.
E’ un romanzo, dicevo, e il tema è appunto a mio parere la solitudine, l’incomprensione reciproca che porta a una sorta di autismo collettivo, alla crudeltà nascosta nelle pieghe di un vivere “civile” che da un lato la nega dall’altro la consuma nelle relazioni malate, nella tristezza che si fa rancore, nella negazione di un gesto di solidarietà.
Tutto ciò traspare sia dall’architettura di questo insieme di racconti, sia dallo stile, o meglio, dagli stili che Pracanica usa con maestria, a seconda del contesto in cui colloca il suo raccontare, e dal ritmo rap che complessivamente ne scaturisce, dalla circolarità di alcuni “capitoli” di questo tutt’uno, con a volte ripetizioni di frasi quasi fossero un refrain, dal virare verso finali imprevedibili di una storia che trascorre fino a un certo punto su binari desolati ma lineari …
Un libro importante, questo di Pracanica, che disegna un panorama criticissimo della società contemporanea, con poche piccole speranze. Un libro dove si coglie una cultura letteraria profonda, elaborata e rimescolata secondo una cifra molto personale, con assonanze colte che vanno dalla migliore letteratura americana fino a Cesare Pavese (non a caso), solo per citarne un paio."
mercoledì 22 aprile 2009
CYBERNAUTI

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- Perché dici che non lo possiamo fare?
- Perché così mi sembra triste ...
- E dai! Ci sono io vicino. Sono tua complice. Anzi, sono parte di te, l’hai detto tu, no?
- Lo fai anche tu?
- Sì. Non lo vedi?
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Il Dirigente della Grande Azienda aveva letto il profilo su Facebook della Bella Ragazza Bruna. Tunisina, capelli neri, occhi nocciola, single, aggressiva e passionale. Erano le tre e mezza di notte.
Vedovo, cinquantasei anni, due figli grandi, sposati, una vita tutta dedicata alla Compagnia, stava surfeggiando senza entusiasmo tra i gruppi del libro delle facce, dove trovava gli interventi più disparati, da una ricetta per fare la torta coi pinoli alle minacce contro gli immigrati del leghista di turno. Cliccando a caso sui vari nomi che comparivano uno in fila all’altro nelle sezioni di facebook , si era incuriosito per il nome della donna, aspro da pronunciare, con una j, due h e una w. C'era anche una foto, ed era stato allora che aveva fatto un salto sulla sedia. Dio, che splendore …
"Gentile sconosciuta, ho letto il ritratto che lei fa di sé, e devo dire che mi ha molto colpito. Lei, in poche righe, riesce a suggerire un universo femminile carico di promesse e di aspettative. Mi piacerebbe molto conoscerla. Nel frattempo le invio una richiesta di amicizia. Un caro saluto."
Non aveva mai inviato messaggi del genere, a nessuno, mai, in tutta la sua vita. Ma la notte è pericolosa, in rete. Cadono difese, inibizioni. E dall'altra parte c'è gente sola, insonne ... esattamente come lui. "Sono matto!" pensò il Dirigente. Send. Vai!
La risposta gli arrivò subito, con un invito a chattare.
- Amicizia accettata. Ho letto il messaggio. E anche il tuo profilo. Come sei formale!
- Be', io ... non sono ancora abituato a questo tipo di rapporti
- Strano, eh? :-))
- Che cosa vuol dire ‘:-))’?
- Prova a chinare la testa verso sinistra. Vedrai due occhietti, un naso e un sorriso. E' una "faccina".
- E' vero! Che simpatico! :-))
- Ma tu che fai nella vita?
- Lo hai letto. Sono un Dirigente d'azienda. e tu?
- Giornalista, sono corrispondente economica per un giornale di Tunisi.
- Interessante ...
- Senti, perché non ci vediamo? Domani sera, in San Babila, davanti al Teatro Nuovo, alle sette.
- Ehi ... vedo che non perdi tempo!
- Perché dovrei?Tanto il tempo non esiste.
- Ma guarda che io ... ho cinquantasei anni ... e tu ne hai trenta.
- E allora?
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Già. E allora? Al Dirigente veniva da ridere. Andò in bagno, a lavarsi i denti. Non riusciva a togliersela dalla testa. Gli veniva da ridere, sì, ma era una reazione che gli saliva dallo stomaco, il battito del cuore appena un po' più rapido del solito. Si guardò allo specchio. I capelli ... brizzolati, più scuri che bianchi, però. Pepe e sale. La pelle del viso ancora soda, di un colorito accettabile. Denti perfetti. Non fosse per quegli occhi un po' troppo miopi ...
Il giorno dopo in piazza San Babila aspettò per un'ora, fino alle otto. Poi se ne andò, stizzito e offeso per il bidone che quella tizia gli aveva tirato. Come se lui avesse tempo da perdere con le ragazzine!
Alle nove era collegato. E trovò un messaggio in mailbox, delle ore 16:50.
"Scusami tanto, ma non penso di arrivare stasera. Mi ero sbagliata e non so come avvertirti, non ho il tuo numero di telefono. Ciao ciao."
D’improvviso tutta la rabbia gli passa. Sorride, comprensivo.
"Non importa, cara sconosciuta, sono stato uno sciocco a non pensarci. Il numero del mio cellulare è 349-243567 ... Che ne dici di vederci domani?"
Ogni cinque minuti va a vedere chi è in linea, ma il nome con una j, due h e una w non compare. Non c'è nemmeno l'ultima volta che ci guarda. Sono le due di notte. Spegne il portatile, va in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Si prepara per andare a letto. Poi ci ripensa.
Forse è sulla guida telefonica.
Riaccende il computer. Pagine bianche ... No, niente ... Chissà, forse vive con un'amica ... o un amico! Che strano! Si rende conto solo ora che non sa nulla di lei. Magari è sposata, ha dei figli ... Magari quella della foto non è nemmeno lei ... Che ne sa, lui ...
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- Come mi immagini?
- ... come nella foto ... bruna, occhi da incanto. Mi immagino che ridi buttando la testa all'indietro, con allegria ...
- Bello!
- Non è così, forse?
- ....
- E allora?
- Be', non lo so, sì, forse ... :-))
- E io? Come pensi che sia?
- Con te è più difficile, non c'è la foto!
- Dai, prova.
- Dunque ... sei non tanto alto, capelli radi ...
- Nooooo :-)) Sbagliato! I miei capelli ce li ho tutti.
- Aspetta! ... hai le labbra sottili di chi è abituato a comandare. E gli occhi tristi ...
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Pesano le giornate, nella solitudine della Sala del Consiglio. Il Dirigente della Grande Azienda scarabocchia figure geometriche appuntite e nastri di Moebius sulla carta immacolata della sua cartellina di cuoio. Una voce lontana arriva dall'ultima poltroncina in fondo a destra. Quando il Presidente del Consiglio d'Amministrazione lo interpella sul Piano operativo dell'ultimo trimestre, conferma di non avere niente da dire. Non si accorge del silenzio imbarazzato con cui tutti lo stanno fissando.
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- Ma perché non vuoi che ci vediamo? Eri stata tu a proporlo.
- Sì, ma ho cambiato idea. Ho paura che roviniamo tutto. A me sembra che ci conosciamo molto meglio in questo modo, non trovi?
- Sì, ma io vorrei ...
- Magari mi trovi brutta, non ti piace il mio sguardo, non ti piace come mi vesto ...
- Ma tu hai trent'anni, e io cinquantasei! Che razza di paure sono?
- Insomma ... no! Non mi va.
- ....
- Ehi, ci sei o ti sei addormentato? :-))
- No, no, sono qua. E' che ...
- Che ... cosa?
- .. che così non so neppure se ... esisti!
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Il Dirigente si alza dalla sua scrivania, e si avvicina all'ampia finestra, da cui si vede un grande prato verde, con l'erba perfettamente tagliata, e, più lontano, una fila di alberi tutti uguali, tutti potati nello stesso modo. Oltre gli alberi, la stradina interna, con un furgone che avanza lentamente, e con la coda grigia degli impiegati che si recano in mensa per la pausa di mezzogiorno. La segretaria entra svelta e furtiva, portandogli un toast e una spremuta d'arancia, e fugge via, rapita dalla fame che ormai si fa sentire. Ora è solo, nel suo scranno, mentre mastica in silenzio, attento a non spargere briciole sul ripiano di pelle. Gli viene un grande sonno. Ha bisogno di un caffè.
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- Adesso tu hai un vestito rosso, lungo fino ai piedi, con uno spacco mozzafiato che ti lascia scoperta tutta la gamba ...
- :-)))
- Anzi, no, lo spacco è sul davanti, fino alle mutandine.
- Non le porto ...
- Allora ... si vede ...
- Tu che dici?
- Sì, adesso che sei seduta secondo me si vede … senti, ma perché non attiviamo una web cam?
- NO! Continuiamo così. Dunque … tu invece hai una maglietta bianca, e dei pantaloni neri. Di cotone.
- No. Niente di tutto ciò! :-)))
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Chissà com'è davvero, la sua segretaria! Lui la vede tutti i giorni, sempre ben pettinata, a posto, con vestiti castigati ma alla moda, occhiali rotondeggianti, un sorriso per ogni circostanza. Ha i capelli raccolti sulla nuca, mai il Dirigente glieli ha visti disciolti sulle spalle. Cerca di immaginarsela, ma è difficile.
- C'è qualcosa che non va? - gli chiede, notando come lui la stia fissando.
- No, nulla - si scuote lui - stavo solo pensando alcune cose ...
Lei se ne va, scrutandolo con la coda dell'occhio, cercando di indovinare quali siano i pensieri che da un po’ di tempo gli frullano sicuramente in capo.
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- Sento che non stai bene ...
- Ma no, sta’ tranquillo, va tutto bene.
- Cristo, non poter far niente!
- ... no, non puoi far niente.
- Ho voglia di te, sai, un sacco di voglia!
- Anch'io. Non andartene. Abbiamo ancora tempo.
- Figurati se me ne vado! ... Tu ... tu non sai che cosa mi hai dato, mai avrei pensato di provare emozioni così forti, prima di conoscerti ...
- :-))
- Vorrei vederti ... incontrarti!
- No! Non voglio. Non ora.
- ...
- Che cosa c'è ... ti ho ferito?
- No ... E' strano ...
- ... dimmi ...
- Mi sono accorto d'un tratto che in fondo non ardo più come prima dal desiderio di vederti ... che il termine "conoscerti" non è più adeguato. Ormai io ti "percepisco", senza mediazioni, come se tu facessi parte di un "me" più ampio ... E' una sensazione che mi mette a disagio, ma è molto autentica, naturale, sa di antico …
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Non dorme più, la notte. Dorme di giorno. Ha rassegnato le dimissioni.
Il libro delle facce è costantemente aperto.
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- Perché dici che non lo possiamo fare?
- Perché così mi sembra triste ...
- E dai! Ci sono io vicino. Sono tua complice. Anzi, sono parte di te, l’hai detto tu, no?
- Lo fai anche tu?
- Sì. Non lo vedi? Mi sto già toccando.
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Lo trovano così, con le mani appoggiate sulla tastiera del computer, la testa reclinata su una spalla. Sullo schermo, alcuni caratteri che saltano da un punto all’altro. Sono delle j, delle h e delle w. Nel fondo delle sue pupille, l’immagine di una donna dai capelli neri e dagli occhi color nocciola. Quando lo spostano dal tavolo da lavoro per comporlo nel sacco di plastica, le sue mani hanno un lieve tremito. Solo un attimo, però. Poi un gemito soffocato seguito da un clac metallico. Gli infermieri si voltano di scatto, con una sorta di timore inespresso. Ma è solo lo schermo del portatile che si spegne. I due si guardano, un sorriso tirato, lo zip veloce della chiusura del sacco, i loro passi pesanti sul pavimento di legno, la porta che si richiude con fracasso.
Passa un minuto. Due. Cinque.
Plic. Al centro dello video compare una piccola timida luce azzurra. Poi i colori, a invadere tutto lo schermo. Infine una voce calda, femminile, passionale:
- Lo desideravi tanto, eh?
- Sì.
- Ora staremo insieme. Per sempre. Ti aspetto.