IL MIO SECONDO ROMANZO

Il mio secondo romanzo s'intitola La gabbia criminale, disponibile in libreria da metà ottobre 2010. Editore: Eclissi Editrice. Per saperne di più clicca qui: La gabbia criminale.

IL BOOK-TRAILER DE LA FOSSA COMUNE

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mercoledì 20 maggio 2009

L'ILLUMINAZIONE DI NORTON - Racconto di Alessandro MAGHERINI

            Lo chiamavano Norton per via della sua motocicletta d’antiquariato. C’era, però, anche chi lo chiamava Biscia a causa della magrezza e chi McDope per il suo impressionante consumo di sostanze psicodislettiche.

            Suo cugino Felipe viveva a Lima nel quartiere di San Isidro, in una villetta della Belle époque dalle cui finestre si vedeva il Pacifico, una cinquantina di metri più sotto, cercare di mangiarsi la spiaggia per arrivare a cozzare contro la scogliera.

            Felipe si riforniva di cocaina in un laboratorio – una cocina, diceva lui – di Lima Vieja, e poi la spediva a Norton nascosta dentro scatole di sardine, una confezione speciale prodotta da un’industria conserviera del Callao.

            Era merce di ottima qualità che Norton tagliava con una parte di lattosio, e rivendeva a Milano con buoni profitti in certi ambienti modaioli di sua conoscenza. Così manteneva se stesso, il cugino peruviano e un grosso gatto soriano che aveva chiamato Hieronymus, un nome che doveva sembrare pomposo al felino stesso ma che per lui era molto significativo data la sua passione per l’autore delle Tentazioni di S. Antonio.

            Commerciava anche una ganja che riceveva periodicamente da una socia nigeriana e andava fiero di essere rimasto uno dei pochissimi pusher indipendenti in circolazione, in un mercato dominato dai grandi racket.

            Sebbene amasse l’eccesso, sapeva praticarlo con discrezione. Manteneva buone relazioni con i vicini di casa, che lo conoscevano come artista e musicista (era un virtuoso della chitarra e del sitar), nonché come studioso di storia, redattore di voci per enciclopedie.

            Le sue ricerche vertevano principalmente sulla storia dell’alimentazione, una chiave fondamentale, a suo parere, per la comprensione delle vicende umane. In particolare considerava sciagurata per l’Europa l’introduzione del mais e della patata – avvenuta in seguito alla scoperta dell’America –, che aveva provocato il declino della coltivazione della segale. Si era spenta, così, una cultura magica caratterizzata dall’uso di facoltà visionarie, di cui era testimonianza l’opera di certi pittori fiamminghi – Bosch prima di tutti – dediti al consumo di bevande prodotte con segale cornuta carica di acido lisergico.

            Per Norton ciò che per i più è vizio era una religione: conosceva dottrine segrete di adepti indiani della “Via del veleno”, per i quali l’uso di droghe è una sfida continua a sviluppare la consapevolezza, allargando a dismisura – nell’esplorazione degli stati alterati – l’area della coscienza.

            Talvolta si ritirava con pochi compagni in una casetta che aveva ereditato da una zia sulle Prealpi bergamasche, dove era riuscito a ricreare in una serra le condizioni microclimatiche necessarie alla crescita di certi funghi allucinogeni colombiani che spuntano sugli escrementi di vacca.

            Non era incline alla conversazione leggera. Piuttosto amava il silenzio e la contemplazione. Della cocaina non apprezzava la facile ebbrezza, il senso illusorio di potenza, e non era certo preda di quegli effetti che portano spesso il consumatore a perdersi in farneticazioni paranoiche autoreferenziali. No: lui era sempre in volo ma la sua mente era sgombra e presente. La cocaina era la sostanza della sintesi portata all’estremo, serviva a trovare la nota giusta, la frase assoluta nell’esecuzione di un raga o in un’improvvisazione jazz: a cogliere l’attimo, la sincronia, l’essenza.

            Nel suo abbaino fra i monti aveva nascosto il tridente shivaita che simboleggiava il suo percorso spirituale: creazione, distruzione, conservazione – i princìpi della sacra Trimurti – erano le leggi che si applicavano alla sua vita. Una pianta di ganja, con le sue foglie lanceolate, ne era il veicolo rituale: coltivata, consumata, conservata nel seme capace di dare vita ad un nuovo organismo in un ciclo sacrificale continuo.

            Lo psilocibe gli permetteva di cogliere l’anima delle piante durante lunghe camminate nei boschi. L’Lsd, che un antico reduce delle battaglie di Oakland produceva ancora nel suo laboratorio a Big Sur, era la porta della Visione.

            Fu con un vago senso di premonizione che la sera del 3 marzo 2003 tirò fuori dalla libreria la sua copia consunta del Paradiso dantesco.

            Lo aprì come spinto da una forza che lo trascendeva e di cui si fidava istintivamente, andò subito al trentesimo canto e a voce alta lesse:

 

e vidi lume in forma di rivera

fulvido di fulgore, intra due rive

dipinte di mirabil primavera.

 

            Allora accadde qualcosa che attendeva da migliaia di vite e tuttavia non aveva previsto: quel fiume scintillante si gettò su di lui dalle pagine del libro e lo sommerse trascinandolo in un percorso elicoidale ascendente che andò a perdersi fra le stelle dell’universo.

            Felice, Norton – ma aveva ancora un nome? Era ancora “qualcuno”? – si era abbandonato a quella corrente luminosa. Attraversando galassie, vide esseri che si affaticavano in mondi sconosciuti, animali dalla forma ignota, e in tutto quel fulgore osservò il proprio volto che splendeva più d’ogni altra immagine. Restituito a se stesso ebbe la visione dell’Eterna Contemporaneità, e in essa si riconobbe.

            Quando il dottor Mazzoleni stilò il referto della sua morte disse che l’ictus gli aveva fatto saltare il cervello.

            La cosa inusuale era quell’espressione del tutto priva di smorfie: quella faccia beata.

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